
L'Obiettività.
Ormai privi di obiettività e religiosamente proiettati a difendere il verbo della nostra fede ideologia tralasciamo di approfondire temi di interesse fondamentale. Giornalisti, politici, professori, storici, filosofi, presentatori e finanche vallette e vu comprà tutti proiettati ed in fila come pecorelle appresso al verbo dell’ideologia mascherata da sentimento portato dal cuore.
Essere di destra o di sinistra non ha più senso, bisogna capire che per sopravvivere bisogna aprire gli occhi e non essere. Il documentarsi al fine di poter scoprire la verità deve tornare ad essere il piacere di documentarsi per raccontare la verità. Invece mi vivo un paese nascosto che ci sta togliendo piano piano il pane dai denti imboccandoci attraverso pupe e secchioni, costanzi e venture, menzogne e menzogne. Cerchiamo di tornare ai margini di questa nostra Italia e di riconquistare quella libertà di pensiero che ci ha fatto diventare quelli che eravamo ma non siamo più.
Oltre al citatissimo (e amico) Marco Travaglio nell’ultimo mese abbiamo assistito a due episodi di intolleranza da fratellanza ideologica e se pur non condividendo parte dei pensieri (passati) di entrambi mi appresto a lodarli per la loro obiettività. Perché hanno saputo discendere dal loro credo in nome di una libertà di esposizione di pensiero che va oltre l’appartenenza politica ed ideologica (quella che in molti ritengono che sia vicino al cuore, ma in che in realtà risiede nella parte più razionale del nostro cervello condizionando cosi i nostri sentimenti).
Parlo di Giampaolo Pansa e Vittorio Sgarbi.
Il primo, autore de La Grande Bugia, è stato aggredito a Reggio Emilia, regno dell'ultradestra rossa, dove è nato il partito comunista combattente delle Brigate Rosse (da una costola del PCI), in una delle zone dove più marcati furono i massacri di socialcomunisti neri, preti e democristiani, all'indomani della Liberazione dal socialcomunismo nero (fascismo).
La grande Bugia dopo il Il Sangue dei vinti, Prigionieri del silenzio e Sconosciuto 1945, è un ulteriore tassello che si aggiunge a quel filone storiografico che con grande fatica sta svelando i misteriosi buchi neri che ruotano attorno alla storia del nostro dopoguerra, ed è anche una sorta di rivincita che, con “una cattiveria allegra” della quale si dice essere “molto felice”, lo scrittore e giornalista piemontese si è voluto prendere nei confronti dei suoi tanti detrattori che in questi anni non hanno fatto altro che lanciargli pesanti accuse di revisionismo, ben nota infatti l’appartenenza politica di Pansa, da sempre dichiaratamente di sinistra.
In un contesto dove per più di 50 anni la Resistenza è stata monopolio quasi assoluto della storiografia d'impronta comunista e soprattutto del Pci, che è arrivato a far credere agli italiani di esser stato l'unico partito a fare la guerra ai fascisti e ai tedeschi dopo l'8 settembre, la grande bugia ha provocato un terremoto culturale. Anche perché per Pansa omicidi come quello di Anno Manfredi furono il risultato di operazioni pianificate da veri e propri “adroni della morte” e questo, si sa, in un Paese fazioso come l'Italia, dove i fascisti sconfitti non hanno mai potuto raccontare in pubblico ciò che gli è accaduto, è vietato anche solo pensarlo.
In un Paese normale libri come La grande bugia si leggerebbero per quello che sono, cioè per approfondire la storia che ha interessato i propri padri. Da noi invece scatenano violente polemiche che spesso sfociano in una vera e propria censura degli autori, i quali non di rado finiscono per cadere nell'oblio. Questo fortunatamente non è il caso di Giampaolo Pansa, il quale ancora una volta potrà vantare il merito di aver fatto conoscere in modo completo, senza omissioni troppo scandalose e soprattutto senza tante bugie, la storia a quei milioni di italiani che pur non essendo fascisti nemmeno si riconoscono nelle posizioni dell'Anpi o dei vecchi del Pci.
Il secondo è stato invece aggredito verbalmente da tutta la coalizione del centro destra, e soprattutto dal Sindaco di Milano Letizia Moratti (quella che in cinque anni di governo ha massacrato e rivoluzionato il sistema scolastico italiano portando riforme che hanno allontanato professori e studenti dall’istruzione) per aver infranto due tabù: i graffiti e il Leoncavallo. Anzi i graffiti del Leoncavallo.
Paragonandoli alla Cappella Sistina della contemporaneità ha chiesto che siano vincolati dalle Belle Arti, che diventino un percorso obbligato della Milano contemporanea, che siano catalogati e pubblicati in un volume del Comune. A chi gli ha contestato l’illegalità delle opere (una marea di perbenisti, capeggiati dal noto stilista Giorgio Armani e dal Assessore all’Arredo Urbano di Milano Maurizio Cadeo, hanno esclamato: cazzo scrivono sui MURI, mettiamoli in manette) ha risposto con un sintetico “Non mi interessa. A me interessa il risultato estetico. Sarebbe gravissimo cancellare un documento così peculiare della creatività dei nostri temp”. Come dire: il Leonka non si tocca. Le ruspe, in via Watteau, non devono passare.
Spiegando perché : “..ma non li vedete questi palazzi di merda che circondano la zona. Altro che buttare giù i muri, andrebbero consacrati, se aspettiamo 30 anni, ci troveremo di fronte a qualcosa come il movimento futurista. Ci sono artisti di qualità. I perbenisti possono vederla in un altro modo, ma il Leonka è il luogo della creatività. Anzi: l’estetica contemporanea a Milano è il Leonka..” . Continuerà citando Baudelaire, Verlaine e Rimbaud per spiegare il suo concetto di illegalità artistica, in cui Non c’è niente come l’illegalità per produrre la creazione precisando giustamente che il Leonka si può contrastare sulla legalità poliziesca, ma non sulla creatività artistica.
Adoro Basquiat, Haring e Wharol (per citare i più conosciuti e quasi contemporanei) come tutti gli altri artisti che hanno accompagnato la mia infanzia grazie alla passione di mia madre che mi ha sempre spiegato che ogni forma d’arte va rispettata perché è il solo vero legame con il nostro passato estetico e filosofico.
Sorrido quando personaggi come Tiziana Maiolo (Ex giornalista del Manifesto, ex esponente di Rifondazione Comunista, folgorata dal venerabile Berlusconi e reclutata da Forza Italia, ex assessore ai Servizi sociali di Milano che chiuse alla stampa due dei centri in cui furono sistemati i cento rifugiati politici che avevano occupato piazza del Duomo nel 2005 e meritatamente non citata neanche su Wikipedia) dichiarano: “Il Leonka prima deve imparare a stare sul mercato come tutte le altre aziende. Senza occupare posti altrui. Se poi tra loro ci sarà un Basquiat, il Comune è disposto ad aiutarlo”.
O Giovanni Terzi (assessore al tempo libero e allo sport di Milano): “non sapevo che Michelangelo andasse in giro a scarabocchiare sui muri” o come il capogruppo di AN Carlo Fidanza: “Questa volta, la cappella l’ha fatta Sgarbi”.
Sorrido al pensiero di poter un giorno tornare a leggere o a guardare un telegiornale privo di condizionamenti politici ed ideologici.
Fuori siamo soli in un mondo di ciechi per questo vi dico e vi auguro di essere liberi dentro. Etichette:
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