Gli spioni



Nel giro di due giorni un'ombra inquietante si è stesa sulla politica italiana.

Prima si è appreso che nel precedente quinquennio una struttura legata al Sismi agiva contro politici (da Violante a Brutti a Visco) e magistrati (pool di Milano e Caselli) con l'intento di «disarticolare» con azioni traumatiche" un gruppo di "nemici" di Berlusconi. Poi abbiamo saputo che nella passata legislatura politici (Giorgio Napolitano e Romano Prodi in primis) ma anche non politici venivano ripetutamente spiati per intromettersi illegalmente nei loro dati tributari.

Una doppia ombra inquietante, appunto. E un sapore di ricatto, di intimidazione, di slealtà istituzionale che non dovrebbero avere cittadinanza in una libera democrazia come la nostra. Invece, dall'opposizione di oggi (e maggioranza di ieri, quando questi fatti incresciosi hanno avuto luogo) arrivano prevalentemente, con poche e lodevoli eccezioni (i soli Fini e Casini hanno definito la cosa inquietante) , reazioni infastidite, e un'irresponsabile rincorsa alla minimizzazione, se non addirittura all'irrisione di chi giustamente registra con allarme queste plateali degenerazioni della vita politica italiana.

I numeri dell'inchiesta della Procura di Milano fissano un dato numerico consistente nella sua genericità. Centodiciassette impiegati nelle amministrazioni civili dello Stato, dieci militari della Guardia di Finanza.

Una vera e propria associazione occulta che spia e segnala chi e come colpire, magari per invidia o più realisticamente su commissione (dietro lauta ricompensa). Hai un impresa, un negozio o magari sei un politico ? e magari mi stai sul cazzo ? Bene ho degli amici in Finanza vedo se e come posso colpirti e lo faccio. Ho banalizzato ma rende l'idea.

A tale proposito posto una lucidissima analisi di Giuseppe D'Avanzo pubblicata oggi sul quotidiano La Repubblica (molti suoi giornalisti erano nel mirino degli spioni).

La grande rete del potere occulto.

Se si separa il grano dal loglio, e non ci si fa confondere dal rumore delle chiacchiere, la trama di questo nuovo capitolo dello spionaggio illegale - affare integralmente politico - non ha alcun mistero. E' sufficiente saper leggere le impronte che i protagonisti "maggiori" dell'affaire hanno lasciato sulle cose. Bisogna chiedersi: quali informazioni abusivamente sottratte all'anagrafe tributaria sono state utilizzate in pubblico? Contro chi? A quale fine? E' la prima necessaria scrematura. E' vero, tra le vittime delle intrusioni ci sono anche, a quanto pare, calciatori e soubrette. Ma voi ne avete mai saputo qualcosa? No, perché quelle notizie fiscali non sono state agitate in pubblico contro di loro.

Dunque, tra i ficcanaso dell'amministrazione delle finanze ci sono degli scimuniti che, per curiosità invidia o vattelapesca, gettano un occhio sul reddito della gente che vede allo stadio o in televisione. Come è vero che, accanto agli scimuniti, appare un buon numero di pitocchi che, per un biglietto da venti euro, "vende" all'agenzia di investigazione privata il profilo finanziario e patrimoniale di un cittadino-contribuente. Magari molto utile alla moglie che, prossima al divorzio, vuol sapere quanto davvero guadagna il marito. Fin qui, siamo sempre nel territorio degli abusi e dell'infedeltà, ma non c'è nulla di politico. La politica - il fine politico - affiora quando si scopre che tra gli "spiati" ci sono Prodi, Napolitano e Berlusconi. Non tutti uguali, però. Perché gli "spioni" non riservano a tutti lo stesso destino.

Speculazioni con notizie riservate e abusive sulle finanze di Berlusconi, alla vigilia del voto di aprile, nessuno ne ha lette. Nessuno le ha sciorinate in pubblico. Un affondo, all'inizio dell'anno, contro il futuro capo dello Stato invece c'è stato. Pallido, sconveniente, non insistito. È soprattutto quel che accade a Prodi che ci fa comprendere qual è la macchina che si è messa in moto; chi sono i macchinisti; qual è l'obiettivo. Non sembra esserci alcun mistero.

Le tracce elettroniche, prova incontestabile dell'accesso clandestino, raccontano che la muffa aggredisce Prodi in tre ondate. Tra il 21 e il 24 novembre 2005; il 22 gennaio 2006; tra il 30 marzo e l'8 aprile. Non è un lavoro di curiosi. Non è fatica di chi apre il file "eccellente" e getta un occhio su una schermata, magari su due, e passa ad altro. È opera professionale che prende molto tempo, che richiede l'intrusione in più banche dati, che pretende uno screening esaustivo del Prodi contribuente: informazioni sul reddito, atti del registro tributario, partecipazioni societarie, atti di compravendita.

Di questo compito non si incarica un impiegato civile, ma - a quanto riferiscono autorevoli fonti - un militare, un sottufficiale della Guardia di Finanza. Che difficilmente si avventura in un'impresa temeraria di questo genere senza aver ricevuto un ordine superiore. Anzi, a sentire altre fonti vicine all'inchiesta, ci sarebbe già qualche "ammissione" su quegli "ordini venuti dall'alto".

Dov'è allora il mistero di questo ultimo affaire spionistico? Possono ancora essere un mistero inglorioso i passi storti consumati dentro la Guardia di Finanza? Abbiamo potuto vedere ingrassare la "politicizzazione della sicurezza nazionale" quasi mese dopo mese. Era sufficiente seguire le "strategie integrate" di influenti network all'interno della Guardia di Finanza e del Sismi.

Quasi ingranaggi di un unico ordigno. Al servizio segreto trasmigrano ottocento finanzieri e il patrimonio informativo dell'intelligence è alimentato dalle notizie raccolte nel territorio dalle sezioni "I" (Informazione, Intelligence) della Guardia di Finanza ed elaborate al centro dal II Reparto. Dal servizio segreto si trasmettono alla Guardia di Finanza richieste di informazioni, input, "obiettivi". I rapporti tra i vertici dei due apparati sono così stretti che, appena qualche mese fa, il direttore del Sismi Nicolò Pollari si lascia intercettare, nel corso delle indagini milanesi, mentre utilizza il telefono cellulare di Emilio Spaziante, capo di stato maggiore della Guardia di Finanza.

È quel "gioco grande" che, per cinque anni, ha alimentato l'ambizione di un inedito e nascente potere, sbocciato nel corso della legislatura appena chiusa, con l'integrazione tra lo spionaggio politico-militare del Sismi e l'intelligence economico-finanziaria della Guardia di Finanza. Un potere che, se capace di sopravvivere al cambio di regime, poteva diventare - può ancora diventare - un moloch con cui una politica debole e un capitalismo fragile dovrebbero fare i conti, stringere patti o subirne umori e voglie, come nel silenzio di una politica timorosa o intimidita ha scritto Repubblica, otto mesi fa. Nel silenzio assordante di leader politici di prima e seconda fila che oggi, finalmente desti, chiedono che si faccia qualcosa.

In quel silenzio, e gliene va dato oggi atto, soltanto Marco Minniti (adesso viceministro agli Interni) ebbe il coraggio di levare la voce e proporre all'opinione pubblica una radiografia che ora appare esatta forse più di quel che allora immaginava il suo autore. Disse Minniti a Repubblica, era il 12 marzo: "Questa maggioranza e questo governo hanno fatto una scelta disastrosa. Hanno politicizzato la nostra sicurezza nazionale, privatizzandone interi pezzi. In nome di un interesse politico di parte, hanno creato le condizioni perché si sviluppasse un agglomerato oscuro fatto di agenzie di investigazione e polizie private in combutta con infedeli servitori dello Stato, che a quell'interesse di parte rispondono e che in nome di quell'interesse di parte si muovono, in una logica di ricatto. È uno spettacolo spaventoso e per nulla antico. Al contrario è assai moderno e vi si colgono i tratti propri delle derive autoritarie anche di altre grandi democrazie moderne".

Dov'è allora il mistero? Da mesi è tutto sotto i nostri occhi. E il problema oggi non è soltanto che cosa accaduto e per responsabilità di chi. Le responsabilità politiche del governo Berlusconi sono evidenti, nonostante il polverone. La questione che sembra ancora non trovare il giusto rilievo nell'agenda politica del governo Prodi e della maggioranza che lo sostiene è "che fare", come farlo, quando farlo? Si odono litanie farfalline, sortite irrilevanti. Si immagina che l'oscurità che ha fatto di piombo la qualità della democrazia nei cinque anni passati sia lavoro di poche "mele marce" nel cesto mentre invece è della forma di cesto che ci si dovrebbe occupare. Si dice: la magistratura faccia il suo lavoro. Dimenticando che i tempi della giustizia sono lunghissimi, illuminano fatti penalmente rilevanti e puniscono - quando puniscono - soltanto responsabilità personali.

È una macchina che soltanto impropriamente e "per supplenza" affronta fenomeni e patologie. È la meno adatta a dare le risposte concrete e immediate che appaiono necessarie per diradare la nebbia spessa che sembra avvolgere la vita pubblica italiana. Si dice: il Parlamento avvii una commissione d'inchiesta che abbia i poteri d'indagine della magistratura.

E con quali tempi, ammesso che il lavoro di questa commissione sia più decente di quello di altre commissione del passato, si giungerebbe a un esito utile? Sei mesi? Un anno? Per intanto, il moloch se ne starà quieto ad attendere la sua fine o si difenderà come può e come purtroppo sa? La verità è che nessuno ieri, nel gran chiasso dichiaratorio, ha chiesto che il governo faccia subito la sua parte. Garantisca subito, con gli strumenti a sua disposizione, l'affidabilità, la correttezza e la trasparenza delle burocrazie della sicurezza infettate. Promuova il governo, subito, una commissione d'inchiesta amministrativa che possa restituire dignità a quelle istituzioni dello Stato e serenità a chi, come tutti noi, deve sentirsene protetto.

fonte: Repubblica Etichette:

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