Cani di Bancata



La paura gli stava dentro come un cane arrabbiato: guaiva, ansava, sbavava, improvvisamente urlava nel suo sonno; e mordeva, dentro mordeva, nel fegato nel cuore. Di quei morsi al fegato che continuamente bruciavano e dell'improvviso doloroso guizzo del cuore, come di un coniglio vivo in bocca al cane, i medici avevano fatto diagnosi, e medicine gli avevano dato da riempire tutto il piano del comò: ma non sapevano niente, i medici, della sua paura.

L. Sciascia




Il modo che ha Emma Dante di raccontare la mafia nel suo ultimo spettacolo Cani di bancata ha qualcosa che esce dagli schemi. Al di là della semplice denuncia, mantenendosi lontana dai luoghi comuni, la regista, attrice e drammaturga siciliana, mette in scena uno spettacolo nuovo, forte e, nella sua semplicità, molto significativo. È un racconto di cosa è, oggi la mafia, qual è la sua sostanza, dove agisce, come si muove: una cagna, insolita incarnazione femminile di una atroce presenza materna, che guida i propri cuccioli ad assurde cerimonie dionisiache, spronandoli a litigare e azzannarsi tra di loro pur di guadagnarsi i suoi favori; pur di riuscire ad occupare quei posti che contano nella società, dove il potere politico ed economico ha il suo fulcro vitale.

Il messaggio di una società alla rovescia, dove la tavola preziosamente imbandita della mafia nutre di orrore e falsità chi si istallerà nei centri nevralgici della società, non è nuovo; quello che è nuovo, però, è il modo di raccontare il tutto, soffermandosi sui gesti che sottintendono un rituale, sui rapporti di (falsa) amorevolezza piuttosto che sulle violenze e le sopraffazione, sul simbolismo di un’Italia che si presenta capovolta, con la Sicilia in cima al resto del paese. Come riassume efficacemente l’autrice: “In un´isola del nord di un’Italia capovolta c’è una città madrice, un luogo primario, dove un popolo silenzioso, seduto attorno a una tavola imbandita, si spartisce l’Italia e se la mangia a carne cruda”.

Ciò che se ne ricava è un quadro che mostra come il potere mafioso sia altra cosa rispetto alla rappresentazione convenzionale che del potere si fa; esso è subdolo, oscuro, affonda le radici in una passato e in una storia le cui origini si sono perse nel tempo e che non ha bisogno di riconoscimenti aperti da parte della società, anche se della società, ormai, è diventata parte integrante.

Lo spettacolo, prodotto dal Crt di Milano e dal Palermo Teatro Festival, che ha da poco concluso le sue repliche milanesi, sarà a Roma, al teatro Palladio, fino al 9 dicembre, quindi proseguirà la tournée a Reggio Emilia, Mantova, Moncalieri; Fano, Napoli.

fonte: teatro Stabile di Catania, e.files. Etichette:

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Spettacolo assolutamente riuscito e da vedere... non è adatto ad un pubblico borghese e tradizionalista, ma è difficile trovare una rappresentazione teatrale in grado di descrivere con tinte così fosche e precise la realtà della mafia. Complimenti ad Emma Dante.